lunedì 21 gennaio 2013

La chiesa tedesca, ravveduta, ha chiuso con l’inquisizione | Paolo Rodari

La chiesa tedesca, ravveduta, ha chiuso con l’inquisizione | Paolo Rodari
C’era mezza Germania ieri sera davanti al talk-show “Beckmann”, dalle 22.45 sulla prima rete pubblica Ard. Tutti incollati ai teleschermi per guardare il duello fra colui che è divenuto il grande accusatore della chiesa cattolica, il criminologo Christian Pfeiffer, e il segretario della Conferenza episcopale del paese, il padre gesuita Hans Langendoerfer.
Le accuse di Pfeiffer sono pesanti. Destituito all’improvviso nei giorni scorsi dell’incarico assunto nel 2010 di stanare per conto della stessa chiesa i preti pedofili, ha dichiarato “di non comprendere il motivo” della decisione e si è detto preoccupato che vescovi e clero possano tornare a “insabbiare” come un tempo. E a poco sono servite le parole di un grande vecchio dell’episcopato, il cardinale Karl Lehmann, che ha detto: “Noi non abbiamo niente da nascondere”. Così, invece, il vescovo di Münster, monsignor Felix Genn, ha respinto le accuse di Pfeiffer di “censura” da parte della chiesa: “E’ vero casomai il contrario”, ha affermato.
Era il 2010 quando la chiesa tedesca, sull’onda dei dati diffusi fra gli altri dall’agenzia tedesca Dpa che contava “più di 250 casi sospetti di preti pedofili” in 23 delle 27 diocesi tedesche – l’indignazione montò parecchio quando venne rivelato che i casi si erano verificati nel collegio gesuita Canisius di Berlino, a Monaco quando era arcivescovo Joseph Ratzinger, nel coro delle voci bianche di Ratisbona diretti dal fratello maggiore del Papa, Georg Ratzinger e infine a Friburgo sede vescovile dell’attuale capo dei vescovi Robert Zollitsch – affidò a Pfeiffer l’incarico d’indagare. Per svolgere al meglio il suo compito, al criminologo la chiesa cattolica concesse di accedere all’archivio di ogni sacerdote attivo sul territorio, anni giovanili compresi. L’esistenza di ogni sacerdote fu vagliata alla ricerca d’indizi.

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